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  • PERSEVERANZA, CAMBIAMENTO... E FORSE ALTRO ANCORA... CHISSA'!
    Mi scuso con chi leggerà questo scritto per aver esposto una sequela di fatti ed umori personali che potrebbero tediarlo, ma è nato da un impellente bisogno espressivo, un flusso di pensieri inatteso che ho voluto fissare in un testo. Varie sono le cause che lo hanno generato, ma la scatenante è quella che mi vede coinvolto - da circa un anno, con costanza e perseveranza, talvolta portate allo spasimo - nella preparazione della documentazione necessaria alla realizzazione del mio sito web; lavoro che ha portato con sé l'approfondita riorganizzazione di gran parte del mio operato artistico, ed un consistente apprendimento di nuove abilità in ambito informatico che hanno dilatato, oltre il previsto, i tempi della sua messa on-line.

    Ho sempre rimandato l’idea di farmi un sito, vuoi perchè le tecnologie informatiche - con tutte le innovazioni e i cambiamenti sociali che hanno portato - le ho da sempre mal digerite, vuoi perché non ne avvertivo la necessità. Mi sono però reso conto, che avrei dovuto rapidamente adeguarmi per evitare di essere pesantemente escluso dalla realtà.

    La mia scarsa simpatia per queste tecnologie, non mi ha tuttavia impedito né di avvertire un forte senso di curiosità nei confronti dei loro derivati industriali, né di percepire le opportunità che essi offrono. Ma tali innovazioni mi sono giunte ad una età in cui ho fatto fatica ad accoglierle con benevolenza. Alcune di esse non mi hanno ancora imbrigliato: ad esempio non ho il telefono cellulare. Non sono un nostalgico passatista! Al contrario: sono curioso, desideroso di imparare, scoprire e conoscere cose nuove, ma se le novità mi arrivano attraverso mezzi un po’ “oscuri” come il PC, così lo percepivo all’inizio, stentano a prendermi. E poi, detto esplicitamente, sono un po’ critico verso tutte queste nuove tecnologie che, promettendoci più libertà, ci vincolano a nuove dipendenze che imprimono un’ulteriore dinamismo alle nostre vite già frenetiche.

    All’inizio il personal computer non l’ho amato. Lavoravo ancora in raffineria quando, circa alla metà degli anni Ottanta, ho dovuto partecipare ad un corso di introduzione al PC. Non ci capivo niente. Forse mi rifiutavo di capire. Non avvertivo l’esigenza di quel nuovo strumento. Lo percepivo come un’ulteriore seccatura: una novità di cui avrei fatto volentieri a meno. Per natura non sono pigro, ma quella macchina non mi attirava. Una parte dei colleghi, invece, era entusiasta: ne aveva, sagacemente, compreso l’importanza! Io invece avvertivo, prevalentemente, lo sforzo di stare lì a guardare il monitor per ore. Dovevo fissarlo continuamente, proprio io che non ho avuto il dono di una vista decente; dovevano inventare e rendere indispensabile uno strumento che mi torturasse quotidianamente, colpendomi proprio là dove non sono in grado di lenire la mia pena! Se vedo poco non posso spronare la volontà o incrementare la tenacia. La mia sensazione é, o meglio era, che questo strumento non mi fosse d’aiuto: anzi... il contrario.

    Ma dai e dai, questa fase si é parzialmente dissolta, così nel giugno del 2006 ho acquistato un computer in sostituzione del precedente, ormai inadeguato a soddisfare le sopraggiunte necessità. E con la solita profusione di impegno ed il prezioso aiuto di Diego, un amico che ha mitigato la mia sofferenza durante il periodo di apprendimento, ora posso affermare che con il PC me la cavicchio, o perlomeno lo so usare per quanto mi serve, affidandomi però, nell’esecuzione dei miei lavori artistici, più ad una logica incongrua che alla corretta applicazione delle metodiche digitali.

    Ma torniamo al sito web. Dopo aver superato le difficoltà per capire come farlo ho iniziato a riflettere su ciò che avrei dovuto inserire, e di conseguenza la riflessione si é estesa a tutto il lavoro artistico che avevo prodotto, in riferimento al quale mi sono venute un sacco di perplessità. Per dirimere la questione, mi sono detto: “Il lavoro che ho prodotto é quello che é. Ciò che ho fatto ho fatto. Ho realizzato quelle opere... da lì, non si scappa. O le distruggo e le rinnego, oppure me le tengo e ci rifletto sopra, sperando di trarre validi insegnamenti per il futuro. Non é mica finita lì: la vita e il mio impegno artistico continuano!”. Certo l’età anagrafica non mi lascia intravedere molte opportunità, ma l’età dello spirito, della passione e della curiosità la sento tuttora giovane e piena di energie creative!

    Perchè mi sono tanto affannato per realizzare il sito? Motivazioni pratiche a parte, quella che ritengo più pregnante é legata ad un desiderio di verità e non di specifica cura della mia immagine, come l’attualità vorrebbe. Una messa a nudo integrale e sincera del mio operato. Come dire: ecco, le cose ad oggi stanno così. Una testimonianza, un punto fermo, una presa d’atto di ciò che é avvenuto, dichiarando i punti di partenza, le strade percorse e i “luoghi d’arte” nei quali mi hanno condotto i pensieri, le emozioni e le azioni. E come tutti i punti fermi - sarà mai possibile che ne esistano? - vorrei realizzare il mio sito web per chiarire meglio a me stesso, e rendere nota ad altri, la mia vicenda artistica.

    E' Giuseppe che si occupa della costruzione del sito. Vai Giuspy, tu sai come si fa! Beato te: un po’ ti invidio perché tu sai molto di queste faccende! Ma... credetemi... guardare sempre sto cavolo di monitor! Sì, lo so: il PC é una grande risorsa, anzi direi che é una cosa veramente straordinaria: più lo pratico e più mi sorprende. Io però mi sento ancora uno che é stato trascinato, a forza, in questo mare magnum!

    Desiderio di verità, dicevo. Sì, credo proprio di sì. Credo che ci sia una reale e forte attinenza con la verità, almeno con la mia verità, o quanto di più prossimo ci possa essere. Confesso che per tanti anni mi sono vergognato di dire che facevo l’artista. Ciò é accaduto perché, oltre alla mia conflittuale personalità, le gratificazioni minime che da tale pratica mi aspettavo non sono arrivate, ed inoltre perché la scelta di fare l’artista l’ho pagata al caro prezzo di aver scompaginato la mia vita e quella di mia moglie, soprattutto dal lato economico, con il totale azzeramento della mia capacità di guadagno, aggravata dalla necessità di continue spese per poter lavorare. Il mancato guadagno, a fronte di un costante e serio impegno, non é solo una pesante frustrazione psicologica ed una evidente limitazione pratica, ma soprattutto un fortissimo impedimento all'attuazione di progetti artistici. Inoltre mi vergognavo per l'imbarazzo di sentirmi sostanzialmente mantenuto dallo strenuo lavoro di mia moglie, verso la quale avvertivo anche un senso di colpa per aver deluso le sue giuste aspettative di una vita familiare più serena.

    Altre cause della mia vergogna derivavano dalla straordinaria opportunità avuta, e dall’ambivalente percezione di orgoglio e fallimento che ne traevo. L’orgoglio - che metteva in risalto l’egocentrismo e la vanità per la coraggiosa responsabilità di cui mi ero caricato, buttando all’aria tutto ciò in cui avevo creduto, mi ero identificato e avevo costruito con fatica nel corso di molti anni - non potevo facilmente dichiararlo. Il fallimento, invece, era totalmente evidente perché non c'erano dei risultati confortanti. Al di là dell'impegno e delle parole, i fatti... dov’erano i fatti che dimostravano la bontà della mia drastica scelta di fare l’artista? Mi vergognavo! E' già difficile essere accettato seriamente come artista, ma un artista che non ha successo, che é privo delle credenziali della scolarità artistica e soprattutto di quelle del blasonato mondo dell’arte, che artista é nell’opinione della società che lo circonda? In tali condizioni era ed é tuttora difficile rivelarmi con disinvoltura. Ma l’aggravante era che provenivo da una tradizione, e da una realtà personale, fatta di lavoro concreto realizzato attraverso le mani sporche ed il corpo sudato, con un contenuto di valori comprensibili e condivisi legati alle necessità di vita e rispondenti ad aspettative pratiche, ed ora mi trovavo in una situazione totalmente diversa dove i valori erano altri: mi ero catapultato agli antipodi della mia realtà.

    Non mi mancavano certo le convinte argomentazioni per giustificare la mia perentoria scelta, ma era l’emotività - la percezione di aver tradito i valori insiti nella mia cultura, il senso di ingratitudine verso una coralità di persone che avevo deluso compiendo una scelta irragionevole - che premendo sulla mia modesta autostima e sulla mia forte nozione di responsabilità, generavano angoscia ed un lacerante senso di colpa. Mi avvertivo eccentrico al mio ambiente sociale, isolato e quasi estraneo ad esso. Era difficile sostenere le mie ragioni; non riuscivo ad ottenere un significativo risultato artistico che suffragasse la bontà della mia scelta; non trovavo un percorso che mi conducesse ad un positivo approdo.

    Per superare questa deprimente condizione ho incrementato lo studio dell'arte, ho visitato musei, ho frequentato gallerie e spazi espositivi, ho conosciuto artisti e critici, ho fatto mostre, ho frequentato corsi, ho partecipato a incontri, ho scritto centinaia e centinaia di lettere - certamente oltre un migliaio - non parliamo poi delle e-mail: ne ho scritte fino allo sfinimento. Non ho mai rinunciato a propormi; non ho trascurato la minima occasione che potesse condurmi a qualche opportunità.

    Da tutto questo enorme sforzo, il dato certo e sconfortante era che artisticamente non mi filava nessuno... o quasi, meno che mai c’erano persone disposte ad acquistare le mie opere. Se nessuno faceva ciò non mi deprimevo troppo perché, questo aspetto, poteva anche evidenziare la non banalità dei miei lavori. E poi, francamente, non avevo scelto di fare l’artista per guadagnare soldi! Era però evidente che il mio lavoro non interessava un gran che, per cui le speranze di migliorare la mia condizione si riducevano e la baldanza iniziale si affievoliva.

    Dopo un periodo esaltante, coinciso con i mesi successivi alle mie dimissioni dal lavoro[1], il fardello incominciò ad appesantirsi a causa delle contrarietà e degli insuccessi. Ma anche in quelle precarie circostanze continuavo a svolgere con passione ed assiduità il lavoro artistico. La mia deriva umana o artistica che fosse, non percepivo bene la differenza, mi spinse - ahimè! non ero di primo pelo: altre tristi vicissitudini psichiche mi avevano già afflitto in precedenza - ad indagare i remoti vortici dell’inconscio o di chissà cosa ci sia, reale o supposto, da quelle parti. Così, per lenire le mie pene, mi sono rivolto ad uno psichiatra e da lì é iniziata la bisettimanale dose di sofferta psicoterapia, avviata nel 1994 ed interrotta, per mia scelta, nel 2001. Mica uno scherzo! Volendo sorridere e sintetizzare la vicenda con uno slogan della pubblicità, media di cui mi sono occupato nel corso della mia attività artistica[2], direi che: “Provare per credere!” ben esemplifica quella esperienza. Non che la psicoterapia sia straziante, ma certamente acuisce la sofferenza.

    Un pomeriggio che dovevo andare dallo psichiatra, e né io né Marta avevamo alternative per accudire Corrado, nostro figlio di quattro mesi, l'ho portato con me. Ben coperto dalla sua tutina rossa, l'ho messo nel seggiolino della bicicletta e, in un teso e freddo vento di febbraio, siamo andati al mio appuntamento. Là l'ho disteso al mio fianco sul lettino delle pene, e dopo pochi lamenti, assaporò la piacevolezza di quella, ma solo per lui, comoda posizione.

    La sofferta esperienza della psicoterapia mi é stata utile? Ha lenito le mie pene? Ha sciolto le mie difficoltà? Ha rigenerato l’uomo esausto che era in me? Mi ha dato nuove consapevolezze? Ha disvelato le sorgenti del mio male oscuro? Che mi ha dato, insomma? Non saprei dire: non riesco a formulare una risposta esaustiva. Qualcosa certamente mi ha dato. Forse si tratta di aspetti che non ho pienamente compreso, perché li ho conseguiti nel tempo, attraverso modalità che ne hanno affievolita la percezione.

    Nel corso dell’ultima seduta, lo psichiatra mi disse esplicitamente che la mia psicoterapia non aveva conseguito l’auspicato esito positivo: era da considerarsi non riuscita. Non so se per lui tale insuccesso coincise con un’amara sconfitta professionale. A me le sue parole produssero un’intensa sofferenza, perché io credevo nella psicoterapia e nella possibilità che potesse aiutarmi a superare le difficoltà. Nella stessa circostanza mi disse anche che la psicoterapia non esaurisce il suo effetto all’atto dell’interruzione, ma prosegue nel tempo. E’ possibile.

    Il tutto mi costò una cifra... folle? Ma cosa non si farebbe per stare bene di salute... per togliersi un sacco di pene... per... guarire? Talvolta ho pensato che, in alternativa alla psicoterapia, se mi fossi preso un anno sabbatico e, con Marta, avessi fatto il giro del mondo, forse avrei ottenuto, comunque, un giovamento: certamente mi sarei divertito di più! Ma io ero - lo sono ancora? - per le cose fatte seriamente, per le soluzioni ai problemi e per un responsabile impegno personale; così ho creduto che la scelta migliore fosse percorrere quella strada.

    In conclusione, questa lunga e travagliata esperienza, la potrei compendiare - forse in termini troppo ingenerosi e stridenti, ma assai efficaci - con un'espressione che gira dalle parti di Napoli, ma che é nota anche nel resto della Penisola, e che ben esemplifica lo stato d’animo con il quale ho vissuto l’epilogo della mia psicoterapia. In quel triste e conclusivo frangente mi sono penosamente sentito “cornuto e mazziato!”. Con sofferenza ho accettato quel giudizio negativo che, inoltre, ha messo in luce - sventurata sorte! - un altro tratto caratteriale negativo, e cioè che sono un duro: non nel senso comunemente inteso, ma in relazione alla resistenza al cambiamento psichico.

    Ritornando alla realizzazione del sito direi che, oltre alle motivazioni già indicate, esso potrebbe costituire una valida risposta alla domanda che spesso mi ha arrovellato: come posso fornire un tangibile segno del mio coscienzioso impegno artistico, della mia forte passione, convinzione, perseveranza nei confronti della pratica artistica, rendendo visibili - seppur in modo approssimativo - oltre alle tante opere prodotte, anche i diversi cicli di lavori mai esibiti per mancanza di valide opportunità espositive? A tal fine, in passato, ho realizzato i classici cataloghi con i testi critici e quant’altro serve, ma ora non posso più: costano troppo! E poi é comunque difficile mettere tutto lì dentro, specialmente per me che ho prodotto molto e sviluppato tante tematiche. Ho quindi capito che il mio odiato, oggi blandamente amato, computer avrebbe potuto aiutarmi a superare le difficoltà, facendosi parte attiva nella presentazione del mio operato artistico.

    Dovrei essere ormai in dirittura d’arrivo: mi manca poco per avere il sito. L’augurio che mi faccio é che esso risulti realmente utile e che con il suo apporto e un’ulteriore dose di impegno possa dare maggior slancio al mio lavoro, così da mettere in evidenza ciò che ho imparato direttamente sul campo in stretta relazione con la realtà artistica frequentata e vissuta in questi diciannove anni di spasmodico travaglio, sperimentazione e dedizione totale all’arte... chissà!

    Dicembre 2009, Luigi Dellatorre

    [1] Ho lasciato il lavoro di impiegato tecnico di raffineria petrolifera il 16-02-1991: avevo trentotto anni.
    [2] Ciclo di opere Finale di partita, 1995.