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    ACCANTANDO GOES ON...
    Dare avvio al ciclo di opere Accantando[1] non mi é stato facile, sebbene avessi già sperimentato taluni suoi prodromi[2] in precedenti cicli di opere. Disponevo di abbondante materia grezza - diverse migliaia di immagini -, ma ero nella difficoltà di elaborare uno sguardo che mi orientasse verso inesplorati progetti artistici. Ad aiutarmi a superare l'affanno, mi sono venute in soccorso le letture di alcuni libri. In particolare mi hanno giovato: Reinventare il medium di Rosalind Krauss, La polvere nell'arte di Elio Grazioli e Postproduction di Nicolas Bourriaud, i cui testi, letti negli anni precedenti, sono affiorati aiutandomi a definire alcune specificità di Accantando e favorendone l'estensione del linguaggio anche a performance, installazioni e video.

    Dalle iniziali opere bidimensionali[3], nelle quali accantavo due immagini prelevate dai materiali fotografici presenti nella Rete, sono passato ad accantarene, in modo caotico, delle moltitudini che hanno dato origine a gruppi di opere, i cui titoli evidenziano le specificità che mi hanno indotto a produrle.

    A tale proposito cito, come esempio fra i tanti, la serie di opere intitolata Accantando (dust of the world) che innesca una presa d'atto sulla contemporaneità e sul mondo del quale, in Rete, sono disponibili infinite immagini a cui attingo copiosamente. Le opere Accantando (dust of the world) testimoniano la difficoltà di narrare la complessità del mondo: evidenziano solo la sua polvere.

    Nei lavori installativi - attenendomi sempre alla prassi dell'Accantando, ma favorendo altresì la sua evoluzione - ho inserito anche aspetti concreti della realtà travalicando la pratica, che ho consolidato nelle opere bidimensionali, di porre accanto solo immagini. Questa necessità nasce dalla consapevolezza che le forme della vita e della realtà sono molteplici, e convivono le une accanto alle altre nella comune casa-laboratorio che è la Terra. Il mio ruolo è di riconoscerne le specificità ed accantarle. Affinchè tutto ciò non si trasformi in puro arbitrio, la mia sensibilità si fa garante delle scelte e delle relazioni che intercorrono fra le parti accantate e che, nel costituire l'opera rendano manifesto il pensiero insito in Accantando. Il mio iter operativo attiva quindi un comportamento che, "sub specie artis"[4], esalta una realtà plurima, in contrapposizione "ad una ferrea logica binaria di tipo oppositivo, escludente ed immunitaristico"[5].

    In questi anni ho prodotto anche dei video[6] che, pur non avendo nei titoli degli espliciti riferimenti al neologismo Accantando, ho formalizzato attenendomi a questa progettualità. Non sono dei video realizzati con la videocamera, ma sono il risultato dell'Accantando dinamizzato di migliaia di foto scaricate da siti Internet. Si compongono di una parte visiva immensamente ricca di immagini, la cui percezione é resa assai difficile dal loro rapidissimo susseguirsi - 25 differenti immagini al secondo - e di una parte sonora anch'essa strutturata sulle specificità di Accantando. Sono dei video nei quali non c'é praticamente nulla da vedere, in quanto negano la loro natura di strumenti della visione, e il cui contenuto non è esplicitamente narrato. La percezione che se ne trae è sfuggente, ma in ogni caso densa di rimandi, atmosfere e sensazioni. Sono forse più coinvolgenti all'ascolto che alla problematica visione... sono quindi da ascoltare? Sono degli audiovideoAccantando? Quale sia la specifica tipologia a cui ascriverli poco importa, ciò che conta é il contenuto riflessivo che, spero, trasmettano.

    Lo straordinario pulviscolo di immagini che tutti ci avviluppa e impregna mi ha sollecitato - oltre alle analisi e alle riflessioni concernenti il mio specifico operare - anche due domande a cui tento di rispondere.

    Prima domanda: é ancora possibile creare singole immagini fotografiche, realmente pregnanti della realtà umana? Scatti unici capaci di individuare gli snodi significativi della vita e della Storia, e che si fissino emblematicamente nelle nostre menti in un ricordo duraturo?

    Risponderei certamente di sì, anche se credo che sia poco probabile che tali immagini possano resistere nei nostri ricordi, perché attraverso le varie tecnologie della visione, la comunicazione che riceviamo é così abbondante e varia, da sottrarre rilievo all'unicità di un'immagine e alla sua capacità di incunearsi e perdurare nella nostra memoria.

    Inoltre l'attuale contesto della visione é governato da aspetti superficiali e ridondanti che attivano una straordinaria quantità di immagini di elevata qualità tecnica e di pervasività senza pari che, in perniciosa alleanza con il loro rapido avvicendarsi ed elidersi, ostacolano il riconoscimento delle immagini che potrebbero assurgere ad emblemi dell’esistenza. In tale condizione tutto ci appare e scivola via rapidamente rinnovandosi in un continuo fluire, che lascia abbacinati gli occhi e intorpidite le menti.

    La difficoltà di memorizzare l'essenziale, si può appurare anche analizzando la nostra storia personale. La facilità con la quale è possibile generare immagini del nostro privato, ci fa disporre di una quantità di foto e di video prima impensabili, quasi un flusso di memoria che corre parallelo alla nostra vita reale. Tale abbondanza ha sostituito i pochi scatti, che evidenziavano i ricordi essenziali della nostra esistenza, costringendoci a memorizzare molto o moltissimo di noi stessi e allo stesso tempo a dimenticare rapidamente.

    Seconda domanda: siamo ancora capaci di visione? Una visione che includa anche la riflessione critica e la corretta memorizzazione del dato visivo?

    Sebbene i media ci abbiano allenati ad accelerare e sintetizzare l’espletamento di queste basilari funzioni, é ovvio che non possiamo applicarle a tutte le immagini, statiche o dinamiche, che vediamo: sarebbe un impegno troppo gravoso per la nostra mente. Tendiamo quindi ad allentare il livello critico e ci lasciamo scorrere addosso, con noncuranza, la più parte di ciò che vediamo; non credo che questo accada per reale indifferenza, ma per un'insopprimibile necessità difensiva. Dobbiamo proteggerci dal troppo che ci assale, depredando la nostra esauribile capacità di attenzione.

    E' per questi motivi che il mio attuale Accantando é diventato un mettere accanto che ha perso le sue primigenie regole auree rintracciabili "nella visione bilaterale dello stare accanto di due-in-uno e / o uno-di-due" [7]. Non più quindi un ordinato sistema di due immagini in uno spazio di relazione e di unità, ma un caotico accavallarsi degli avvenimenti-immagine causati dal dilatarsi della comunicazione.

    Le recenti opere Accantando sono un anarchico mescolarsi, riemergere e annullarsi di moltitudini di immagini alla ricerca di un posto da occupare; sono la manifestazione evidente della saturazione ubiquitaria dello spazio della comunicazione, nonché la perentoria espressione di una libera e consapevole riflessione sul presente.

    Giugno 2011, Luigi Dellatorre

    [1] Dal 2008 ho attivato la pratica dell'Accantando - forma gerundiva del neo verbo accantare: mettere accanto - pensiero ed azione artistica che esalta una realtà plurima, instaurando una continuità tra un passato ed un presente che si schiude al futuro. I testi di riferimento sono: Accantando, di L. Dellatorre, 2008; Uno di due. Due di niente. Gli esiti della pratica dell'accantando nella ricerca artistica di Luigi Dellatorre, di R. Gasparotti, 2008; Accantando (greetings from the world), di L. Dellatorre, 2009; Tutti i santi del calendario, di L. Dellatorre, 2010; Accantando goes on..., di L. Dellatorre, 2011.
    [2] I cicli di opere precedenti ad Accantando che hanno due immagini affiancate sono: Ma come ce le raccontano bene!, 2001; Sguardi astigmatici: donne patinate, 2002; Una storia italiana: Silvio, oh Silvio, che grand'uomo che sei!, 2002-2003; Senza titolo (Milano), 2003-2006; Immagini, 2007.
    [3] Tutte le opere bidimensionali sono / saranno prodotte in un unico esemplare.
    [4] Vedi il testo: Uno di due. Due di niente. Gli esiti della pratica dell'accantando nella ricerca artistica di Luigi Dellatorre di R. Gasparotti, 2008.
    [5] Vedi il testo citato in nota 4.
    [6] La realizzazione di questo tipo di video é iniziata nel 2010: generalmente sono prodotti in 3 copie.
    [7] Vedi il testo citato in nota 4.