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  • DISCORSO D'APERTURA ALL'ESPOSIZIONE DI LUIGI DELLATORRE
    FINALE DI PARTITA
    Buona sera, Signore e Signori, ho l’onore e il piacere di tenere questa sera il discorso d’apertura all’esposizione di Luigi Dellatorre Finale di partita.

    Riferendomi al titolo dell’esposizione vorrei cominciare facendo presente che Dellatorre ha recitato nel 1976 il ruolo di Hamm, figura principale nell’opera teatrale di Beckett Finale di partita[1]. Un anno più tardi ha incominciato ad occuparsi attivamente di arte. Con il titolo della mostra Finale di partita - mostra già presentata a Milano e Pavia nel 1996 - egli si richiama (20 anni dopo) al teatro dell’assurdo di Samuel Beckett: egli pone infatti a contatto immagini allontanate dal loro contesto e parole provenienti da sfere culturali diverse e dà così voce alla nostra visione della realtà, frammentata in impressioni molteplici.

    Nel ciclo di opere Finale di partita Luigi Dellatorre combina immagini pubblicitarie tratte da riviste italiane con frammenti di testo estrapolati a caso da libri di temi diversi e scritti poi a mano, quasi fossero annotazioni personali, sulla pagina pubblicitaria. Ponendo a contatto frammenti di realtà provenienti da contesti culturali diversi egli genera in tutta modestia e in modo critico scintille di poesia.

    L’artista definisce le immagini, incollate su cartoncino e plastificate, come “reliquie dello spirito del tempo”. Vi sono, se ho ben capito, mille e un’opera - un numero da favola - costruite con questo principio. Le opere si avvalgono delle parole come intervento artistico che rompe la piattezza dell’immagine pubblicitaria stampata e mina, con frasi provenienti da un diverso mondo, la consueta costruzione di immagine e slogan.

    Si potrebbe anche dire che Luigi Dellatorre nel suo ruolo di artista pirata dei mass media introduca di proposito, con i suoi frammenti di pensiero, un virus nel sistema seduttivo dell’immagine per romperne l’equilibrio, producendo un effetto di nonsense. Suo anarchico fine é quello di introdurre il dubbio - tramite l’aggiunta irritante della prosa - nella pagina patinata della pubblicità con le sue rosee promesse di felicità e di opporsi così alla colonizzazione della visione dell’osservatore. La strategia pubblicitaria originaria, con i suoi ideali di profitto e crescita, viene interrotta dall’inattesa integrazione della scrittura, volutamente non perfettamente strutturata, e riportata ad una dimensione più umana.

    L’artista é animato da un ambivalente odio-amore per la pubblicità e la sua estetica: la pubblicità diventa da una parte oggetto di attenzione, viene citata ed elaborata, dall’altra viene messa in dubbio e smascherata. L’artista crea attingendo ad un pool di immagini e testi; allo stesso tempo si diverte a fare l’avvocato del diavolo che in modo spiritoso scalfisce la superficie troppo luccicante del bel mondo della pubblicità. I suoi interventi poetici ci incoraggiano ad un approccio critico verso questo mezzo davvero onnipresente nella vita di ogni giorno. E’ importante non perdere di vista il fatto che la pubblicità propone un’immagine della realtà distorta in senso seduttivo e quindi un mondo di simulazione. La pubblicità é in sostanza l’arte di far vendere merci ed idee con l’ausilio dell’umorismo e della fantasia. Questa arte é presente a tal punto nella vita di ogni giorno che filosofi e sociologi, psicologi ed artisti hanno elaborato teorie sull’argomento.

    La pubblicità comincia con gli incantatori ed i maestri dell’arte di persuadere dei mercanti orientali e si manifesta nella propaganda di qualsiasi colore.

    Esiste tuttavia una scala che va dalla mediocre reclame dal penoso retrogusto di inutilità fino alla pubblicità sofisticata, all’estetica pubblicitaria degli ultimi anni, piena di umorismo e seduzione, che si é trasformata in una notevole forma di arte applicata, in una sfera di arte della comunicazione che ha lo scopo di indurre a riflettere e in ultima analisi di far spendere il grosso pubblico. La pubblicità infatti mette in scena la visione più attraente delle merci, vende sogni, risveglia nostalgie, manipola bisogni per portare agli acquirenti il suo messaggio di successo, un messaggio cinico del tipo “compro, quindi sono”.

    Il mondo della pubblicità, già definito nel 1928 dallo storico dell’arte Georg Hartlaub come “arte sociale e collettiva di massa”, funge da enorme repertorio di immagini e museo immaginario da cui prelevare in ogni momento, nella vita di ogni giorno, immagini modello. Il potere di queste immagini non é da sottovalutare: essendo state concepite in modo da agire sulle masse, le immagini pubblicitarie sono un indicatore sensibile dello spirito del tempo e riflettono in modo preciso mode e mutamenti sociali; esse inoltre hanno un effetto più immediato di quanto non abbia, per esempio, l’arte delle avanguardie.

    E così noi canticchiamo le melodie della pubblicità. Anche gli slogans pubblicitari diventano aforismi popolari, come per esempio quello della birra Clausthaler, “non sempre, ma sempre più spesso”, o la frase azzeccata “sai qual che hai” o anche “profumo del grande vasto mondo”.

    Noi tutti conosciamo e citiamo “se non ci si permette mai niente”, “metti una tigre nel motore”, o “le pause più belle sono viola”, per non parlare poi del giudizio comico “vale tanto quanto una bistecchiera”. Figure pubblicitarie come la mucca viola, l’omino delle HB, Mastro Lindo, Capitan Igloo o Clementina - a cui si potrebbero sicuramente aggiungere esempi italiani - sono diventati patrimonio comune e riflettono l’orizzonte culturale del nostro presente.

    Dellatorre crea nelle sue opere una tensione tra testo e immagine: cosi, per esempio, il busto della bella donna de “La Perla” é completato da una storia per bambini di un coniglietto; all’immagine zoomata del reggiseno “Chantelle” fa da contrappunto una frase tratta dal libro ”La morte dolce”; un solitario rossetto “Clinique” é contornato da frasi del “Manuale di corrispondenza commerciale tedesca” e il profumo “White Linen” disturbato da formule di un libro di matematica. Parole addirittura d’oro, tratte da un manuale di amministrazione, completano l’erotica pubblicità del “Wonderbra”, che già di per sé risplende del bel commento “guardami negli occhi - ho detto negli occhi!”.

    Desidero infine farvi notare il fotomontaggio che ritrae l’autore in posa di trionfo - come un ironico santone nudo della pubblicità - che troneggia su di un televisore che mostra la pubblicità dei Pampers. La galleria di immagini pubblicitarie di Dellatorre é completata da un’altra dimensione: quella di interessantissimi messaggi audiovisivi della televisione italiana: c’é materiale per diverse ore...

    Detto questo Vi auguro buon divertimento nel visitare la mostra![2]

    Monaco, 03-11-1998, Sabine Dorothée Lehner

    [1] La rappresentazione teatrale di Finale di partita di Samuel Beckett, per la regia di E. Crivelli, si é tenuta nei teatri Gi-Fra (aprile) e Cagnoni (giugno) del 1976 a Vigevano (PV). Recensioni di R. Rivolta pubblicate da L’Informatore Vigevanese il 15 aprile pag.9 e il 3 giugno pag.11.
    [2] Traduzione dal testo originale, in tedesco, di Paola Travaglino.